«Mentre siete qui, il cuore palpita per il vostro Paese, e palpita non solo di affetto, ma anche di angoscia, soprattutto per il flagello della guerra e per le difficoltà economiche. Sono qui per dirvi che vi sono vicino: vicino col cuore, vicino con la preghiera, vicino quando celebro l’Eucaristia. Lì supplico il Principe della Pace perché tacciano le armi». Le parole di Francesco risuonano tra le cupole neobizantine decorate dai mosaici dorati della Basilica di Santa Sofia, dove nel pomeriggio di oggi incontra la comunità greco-cattolica ucraina di Roma che lo ha atteso dal mattino assiepata lungo via Boccea e le zone limitrofe sventolando bandiere gialle e azzurre, stendardi con l'immagine del patrono San Josafat e cartelloni che recavano scritte del tipo: “Santo Padre, preghi per l’Ucraina”.
Giunto in anticipo e accolto con un abbraccio fraterno dall’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, suo amico dai tempi di Buenos Aires, Bergoglio si presenta come un padre, in effetti, ai fedeli di quella che è la più grande delle 22 Chiese orientali in piena comunione con Roma. «Entrando in questo luogo sacro ho avuto la gioia di guardare i vostri volti. Se siamo qui, riuniti in comunione fraterna, dobbiamo rendere grazie anche per tanti volti che ora non vediamo più» e che hanno «pagato a caro prezzo» la «fedeltà a Dio e al successore di Pietro», esordisce.
Il Pontefice dice subito di condividere il dolore per una guerra che continua a provocare lutti ed emigrazioni massicce nel Paese. Parole accompagnate dal canto in ucraino intonato fuori dalla basilica dalle donne, di tutte le età, con i foulard intorno al capo o sulle spalle, in piedi sul sagrato. E proprio alle donne va il pensiero del Papa nel suo discorso, «le mamme e le nonne ucraine, che trasmettono la fede con coraggio, che hanno battezzato figli e nipoti con coraggio» e che «oggi fanno del bene qui a Roma, in Italia, curando i bambini, gli anziani come badanti e trasmettendo la fede nelle famiglie, alcune tante volte tiepide», dice a braccio. «Voi avete una fede coraggiosa. Dietro ognuno di voi c’è una mamma e una nonna che ha trasmesso la fede. Le donne ucraine sono eroiche, davvero!».
Sono «apostole di carità e di fede»; strumenti «preziosi» per portare «in molte famiglie italiane l’annuncio di Dio nel migliore dei modi, quando con il vostro servizio vi prendete cura delle persone attraverso una presenza premurosa e non invadente… Non invadente, eh! Di servizio: “Ma questa donna è buona”. E lì si trasmette la fede», aggiunge. «Vi invito a considerare il vostro lavoro, faticoso e spesso poco appagante, non solo come un mestiere, ma come una missione: siete i punti di riferimento nella vita di tanti anziani, le sorelle che fanno loro sentire di non essere soli. Portate il conforto e la tenerezza di Dio a chi, nella vita, si dispone a prepararsi all’incontro con lui», incoraggia il Papa.
Che esprime il suo affetto per il popolo ucraino raccontando «un segreto» personale: «La notte prima di andare a letto e al mattino quando mi sveglio - spiega, mettendo da parte il discorso scritto - mi incontro sempre con gli ucraini perché quando il vostro arcivescovo è venuto in Argentina (quando l’ho visto pensai che fosse il chierichetto della Chiesa ucraina ma invece era l’arcivescovo, ha fatto un bel lavoro in Argentina…) ci incontravamo spesso. Poi un giorno è andato al Sinodo ed è tornato Arcivescovo maggiore, quindi è venuto a congedarsi e mi ha regalato una icona bellissima della “Madonna della Tenerezza” e io a Buenos Aires l’ho portata in camera e la salutavo ogni sera, era proprio un’abitudine. Poi è toccato a me fare il viaggio a Roma e non tornare - lui poté tornare, io no! - e da lì ho portato il mio diario, i libri, e la Madonna. La bacio ogni notte e la saluto ogni mattina. Si può dire che finisco e inizio la giornata in ucraino», ha detto Francesco suscitando le risate e gli applausi dei presenti.
Ma non è solo la “Madonna della Tenerezza” l’unico legame di Jorge Mario Bergoglio con il Paese est-europeo. Nel suo passato c’è la figura del vescovo Stephan Chmil, morto quarant’anni fa e sepolto proprio nella basilica di Santa Sofia. Il Papa, durante la visita, si reca a pregare davanti alla sua tomba per alcuni minuti. Chmil è «una persona che mi ha fatto tanto bene», rammenta a braccio, «da giovane - avevo 12 anni - assistevo alla sua messa, mi ha insegnato a celebrare la messa, a leggere il vostro alfabeto». Un ricordo indelebile: «Da lui ho appreso la bellezza della vostra liturgia; dai suoi racconti la viva testimonianza di quanto la fede sia stata provata e forgiata in mezzo alle terribili persecuzioni ateiste del secolo scorso».
Il Papa gli è riconoscente e lo è pure a tutti i numerosi “eroi della fede” ucraini: il cardinale Josyp Slipyj anzitutto, che nel 1963, di ritorno dalla prigionia in un gulag siberiano, aveva raccolto fondi per costruire a Roma un edificio sacro che fosse punto di incontro per la comunità greco-cattolico ucraina «perché splendesse come segno profetico di libertà negli anni in cui a tanti luoghi di culto l’accesso era impedito». E il cardinale Ljbomyr Husar, che «non è stato solo “padre e capo” della vostra Chiesa, ma guida e fratello maggiore di tanti».
«Questi testimoni del passato sono stati aperti al futuro di Dio e perciò danno speranza al presente», rimarca il Papa, «quando varcate la soglia di questo tempio, ricordate, fate memoria dei padri e delle madri nella fede, perché sono i basamenti che ci reggono: quelli che ci hanno insegnato il Vangelo con la vita ancora ci orientano e ci accompagnano nel cammino».
Il cammino di una Chiesa «che non è un museo di ricordi del passato o un simbolo di presenza sul territorio», ma una «Chiesa viva» dove «si riceve e si condivide la vita nuova, quella vita che vince il peccato, la morte, la tristezza, ogni tristezza, e mantiene giovane il cuore». «I giovani hanno bisogno di vedere questo», afferma a braccio il Vescovo di Roma. «La Chiesa è incontro, è il luogo dove guarire la solitudine, dove vincere la tentazione di isolarsi e di chiudersi, dove attingere la forza per superare i ripiegamenti su se stessi». «La comunità è allora il luogo dove condividere le gioie e le fatiche, dove portare i pesi del cuore, le insoddisfazioni della vita e la nostalgia di casa». Essa «non può che profumare di vita».
Prima di far ritorno in Vaticano, fuori dalla Basilica Francesco rivolge infine un breve saluto ai fedeli dopo aver scherzato con alcuni bambini che lanciavano palloncini e gridavano “W il Papa”: «Grazie per la vostra perseveranza nella fede. Siate saldi nella fede, e custodite la fede ricevuta dai vostri antenati per trasmetterla ai figli. È il dono più bello che un popolo può dare ai figli: la fede ricevuta». «Pregate per me» raccomanda Francesco, e scherza: «Ma a favore o contro?».
Lui, da parte sua, assicura le preghiere per tutta l’Ucraina davanti alla “Madonna della Tenerezza”. Poi, dopo la benedizione - che chiede all’arcivescovo di Shevchuk di impartire insieme - prega un’Ave Maria e fa volare due colombe bianche in segno di pace. Quella che, diceva lo stesso Shevchuk nel suo discorso, sembra assente «in questo mondo lacerato da ideologie inumane».