Don Ihor Krupa a Milano: "Preghiamo per la conversione di chi benedice questo conflitto, di chi dà gli ordini di uccidere, bombardare, sterminare il mio popolo

«Non dimenticherò mai il giorno in cui è scoppiata la guerra. Quel 24 febbraio mio fratello mi chiamò alle 4 del mattino. Mi disse che era stato bombardato l’aeroporto, che sentiva il rumore dei missili. Quando terminò la telefonata mi resi conto che poteva essere l’ultima volta che parlavo con lui». Così don Igor Krupa descrive a Tempi l’orrore del conflitto scatenato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha portato «morte, distruzione di massa, devastazione». Il cappellano della comunità ucraina di San Giosafat dell'Esarcato Apostolico, collaboratore pastorale della parrocchia dei Santi Giacomo e Giovanni, ha parlato il 7 settembre a Milano alle centinaia di fedeli delle diverse confessioni aderenti al Consiglio delle chiese cristiane, delle associazioni e dei movimenti che hanno partecipato al cammino per la pace e alla veglia di preghiera presieduta dall’arcivescovo Mario Delpini.

Hanno camminato pregando il rosario, che Giovanni Paolo II definiva «la bomba atomica della Chiesa», per la fine della guerra in Ucraina e delle sofferenze provocate dal conflitto. «È stata una manifestazione importante per dimostrare che il mondo cristiano e la Chiesa di Milano sono vicini al popolo ucraino che continua a soffrire», spiega don Igor, sottolineando che pregare non è inutile. Non solo perché, come scritto sul Quotidiano nazionale dal presidente della Fraternità di Comunione e liberazione, Davide Prosperi, «la speranza cristiana è fondata sulla certezza della presenza di Gesù, e dunque non c’è nulla di più ragionevole». Ma anche perché, continua il sacerdote ucraino, «un cristiano prega per la pace che può venire solo da Dio. Non a caso Gesù ha detto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Cioè quella pace che non può venire dal mondo».

Essere «artigiani» di questa pace, usando il termine più volte ripetuto durante la veglia, non è semplice né indolore. Implica «dire le cose come stanno e non limitarsi a mezze verità», continua il cappellano ucraino, a Milano dal 2015. Un conto è soffrire per le conseguenze economiche del conflitto, un altro «è viverlo sulla propria pelle. Sentire ogni giorno il rumore dei missili che sorvolano la propria casa, temere per la vita dei propri cari». Ecco perché don Igor ha invitato a pregare non solo per la fine della guerra, ma anche «per la conversione di chi benedice questo conflitto, di chi dà gli ordini di uccidere, bombardare, sterminare il mio popolo».

In un contesto internazionale in cui non sembra esserci spazio per il dialogo, l’arcivescovo Delpini ha chiesto provocatoriamente: «Noi preghiamo e facciamo questa veglia, è bello, ma chi ci ascolta?». Non i capi di Stato, continua, né chi combatte, «è Dio che ci ascolta. Noi siamo ostinati nella preghiera perché lui ci ascolti, nella speranza che un giorno magari si possa parlare di Milano come laboratorio di pace».

Fonte: Tempi