A Novara è stata eretta la prima parrocchia in Italia di cattolici ucraini di rito bizantino. Don Yuriy, il loro parroco, ha ceduto la propria abitazione ad alcune donne in fuga dalla guerra. Ma tutta la comunità sta mettendo in campo uno straordinario sforzo per la prima accoglienza. E non solo...
«Nessuno si aspettava una guerra, l’arrivo delle sfollate ci ha travolto» allarga le braccia don Yuryi Ivanyuta, 44 anni, parroco di Santa Maria del Carmine a Novara. «Dopo due mesi, passata l’emergenza iniziale – racconta – grazie alla generosità di tanti italiani i bisogni non sono più tanto quelli primari, di vitto e alloggio, ma di sostegno psicologico: la maggior parte delle mamme arrivate qui si chiedono che cosa fare, come affrontare il futuro, se rientrare in Ucraina o restare qui in attesa che la guerra finisca». È domenica mattina e tante ucraine, alcune residenti qui da anni e altre da poche settimane, sciamano sul sagrato della splendida chiesa secentesca di Santa Maria del Carmine, nel cuore del centro storico di Novara.
Qui è stata infatti istituita nel dicembre 2021 la prima (e per ora unica) parrocchia per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino nel nostro paese, all’indomani dell’erezione nel 2019 da parte di papa Francesco dell’Esarcato apostolico d’Italia. E qui, secondo gli ultimi dati della Protezione civile, sono ospitate la maggior parte delle ucraine giunte in Piemonte dalla fine di febbraio: al 4 maggio risultavano 2829 gli ucraini presenti a Novara, seguiti da 2150 a Torino, 1111 nel Verbano-Cusio-Ossola, alcune migliaia nelle altre province. Proprio nel Novarese si è formata una delle maggiori comunità ucraine in Italia e qui don Yuryi, originario di Sternopil nell’Ucraina occidentale, esercita il suo ministero dal 2002. Il Piemonte registra infatti da anni un indice di aspettativa di vita tra i più alti d’Italia (83 anni contro la media di 80,3 in Europa), dal quale deriva l’alta domanda di lavoratori impiegati nella cura della persona.
Oggi sono circa 10.400 gli ucraini residenti in Piemonte (l’80 per cento sono donne), la metà registrati fra Novara e la provincia di Verbano-Cusio-Ossola. Una forza lavoro spesso molto qualificata ma che, per tutti i Paesi al di fuori dell’Unione europea come l’Ucraina, non vede riconosciuti i propri titoli di studio.
«In Ucraina insegnavo inglese e tedesco alle scuole medie, il lavoro che sognavo. Ma qui in Italia – racconta Mariana, dal 2015 in Italia – se vuoi crescere dei figli, devi adattarti a fare la badante. Da quando è scoppiata la guerra, don Yuryi mi ha chiesto di dargli una mano con la Questura e ho iniziato a lavorare come interprete: mi piacerebbe continuare con questo lavoro». «Fino al 2008 a Leopoli – le fa eco Oksana, 46 anni – insegnavo musica e canto. Ma da quando sono arrivata qui ho svolto lavoro domestico: il mio sogno è che mia figlia si laurei in ingegneria e faccia una vita diversa» sorride questa signora, da anni direttrice del coro parrocchiale. Con la loro eleganza e il loro sorriso, Mariana e Oksana rappresentano il volto maggioritario dell’immigrazione in Italia: più della metà degli immigrati secondo l’Istat, il 52 per cento, sono infatti donne, europee, di cultura e religione cristiana. Sono donne anche il 42 per cento degli occupati stranieri nel nostro Paese.
«Don Yuryi – sorride Oksana – è sempre stato ed è ancora oggi il punto di riferimento della comunità, non solo come parroco: molti di noi per qualsiasi problema di documenti, di salute o per un semplice consiglio si rivolgono a lui. In questa emergenza, grazie all’aiuto del Comune e dei cittadini cerca di dare una mano a tutti».
È significativo l’elogio che don Yuryi ha rivolto alla capacità organizzativa messa in piedi non solo dalle istituzioni e dalla Caritas diocesana, ma dalle numerosissime associazioni di volontariato che in questi mesi hanno teso le mani e aperto le loro case agli ucraini. Come Patrizia Torresan, la proprietaria dell’hotel Parmigiano chiuso da più di un anno e messo in vendita, che ha offerto gratuitamente l’albergo dal quale sono già passati oltre 400 sfollati, poi indirizzati da famiglie novaresi, trasformando questa struttura nel quartier generale dell’accoglienza. Il Comune ha poi messo a disposizione dei locali dove è stato allestito il centro di raccolta e distribuzione di alimenti forniti dal Banco alimentare, abiti per bambini, farmaci e prodotti di igiene personale.
«È qui in Italia che ho scoperto l’associazionismo – osserva don Yuryi – perché in Ucraina in 70 anni di dittatura era impossibile aggregarsi. In questi mesi ho toccato con mano ancora di più la grande capacità degli italiani di sviluppare comunità, mettersi d’accordo, fare rete: stiamo imparando moltissimo da voi». Secondo i dati della Prefettura il 92 per cento dei profughi accolti nel Novarese sono donne con bambini: anche per questo don Yuryi ha deciso di cedere il suo appartamento a tre giovani mamme, due delle quali negli ultimi mesi di gravidanza (proprio l’8 aprile Svitlana ha partorito Milania, la prima bimba ucraina nata a Novara) e di trasferirsi in parrocchia. «Era il minimo che potessi fare: queste donne – commenta – hanno tra i 30 e i 40 anni come le mie sorelle».
Ora il compito più arduo: tenere alto il morale delle connazionali con la speranza, fondamento della fede: «Dico sempre che dobbiamo imparare prima a pregare, e poi a fare. Non il contrario. Solo la preghiera ci dà la forza di affrontare la precarietà del presente e del futuro».
Fonte e foto: Uniti nel dono